Considerazioni sull’epidemia da virus influenzali
La storia dei virus influenzali insegna che l’ influenza ha origine da animali volatili, genericamente acquatici, per poi passare all’ uomo attraverso il “salto” nei maiali. La promiscuità degli allevamenti, come è in uso in Asia, determina questo passaggio e poi la diffusione. Hanno avuto così origine l’ influenza Spagnola (1918, H1N1), l’ Asiatica (1957, H2N2), quella di Hong Kong (1968, H3N2) e così via.
I ceppi diffusi in alcuni anni possono presentare anche relazioni con quelli di altri anni.
Le persone più giovani presentano anticorpi diretti verso gli antigeni più importanti dei ceppi con i quali sono venuti a contatto. Con il progredire dell’ età si osserva una immunità a più largo spettro che si riflette negli anticorpi polivalenti che si acquistano attraverso il contatto con numerosi antigeni primari e secondari presenti nei ceppi che si incontrano nel corso degli anni successivi.
Ma ogni contatto successivo con un virus influenzale di tipo A comporta non solo degli anticorpi strettamente caratteristici, bensì anche un aumento di quelli diretti verso il ceppo responsabile della prima infezione influenzale del soggetto (fenomeno di Davenport o dottrina del “peccato antigenico originario”).
In tal modo l’ immunizzazione verso un determinato ceppo, diffuso in una determinata epoca, comporta progressivamente una crescente difficoltà alla sua ulteriore distribuzione e crea il vantaggio selettivo, per una qualche variante del virus, di moltiplicarsi e diffondersi. I nuovi ceppi saranno in condizioni di moltiplicarsi negli ospiti, indipendentemente dal fatto che questi abbiano avuto o non un’ esperienza immunologia con i ceppi precedenti. Come risultato di ciò si avrà che, poco dopo l’ apparizione di un nuovo tipo, le vecchie forme scompariranno e la nuova famiglia diverrà dominante per un periodo che in linea generale copre 10-20 anni, nel quale si assiste, per la comparsa di variazione antigeniche minori, alla suddivisione di questa in vari sottotipi.
L’ affioramento di un nuovo ceppo epidemico può, quindi, essere considerato come un processo di sviluppo interessante le caratteristiche del ceppo e la suscettibilità della popolazione. Affinché un ceppo abbia un’ ampia distribuzione, le sue caratteristiche antigeniche devono far sì che esso sfugga alla neutralizzazione da parte degli anticorpi dell’ ospite e della popolazione circostante. Così le manifestazioni epidemiche si potranno verificare con quei ceppi che possiedono antigeni dominanti che si adattano alla deficienza, o meglio, alle assenze anticorpali della popolazione. Sembra, in conclusione che il virus influenzale A mostri una capacità ed un ‘attitudine alla sopravvivenza che si articola sulla possibilità di comparsa di nuovi modelli antigenici che consentono al virus di confondersi facilmente attraverso popolazioni ancora parzialmente immuni a precedenti forme antigeniche. Secondo questo modo di vedere, le variazioni dei virus influenzali A possono essere concepite in senso unitario, nell’ ambito di un principio e di un uno svolgimento evoluzionistico, da Burnet detto “ immunological drift” o sterzata immunologia. E’ molto importante ricordare che è stata dimostrata la presenza di anticorpi verso i più recenti ceppi asiatici del 1957 (A2) proprio nel segmento più vecchio della popolazione di allora: nell’ influenza asiatica si sono evidentemente ripresentati ceppi con caratteri antigenici dominanti, diversi da quelli che avevano caratterizzato gli anni più o meno precedenti, ma simili a quelli dei ceppi diffusi molto prima (Pandemia 1889-90).
Per l’ emergenza creata dall’ epidemia di “influenza dei polli” in Asia è giusto non creare allarmismi essendo vittime di una cattiva informazione. La possibilità che il virus aviario arrivi in altre parti del mondo c’è, come del resto per tutti i tipi di virus influenzali. E’ chiaro che l’ animale morto è innocuo, quindi di fondo ci sono altri interessi veterinari ed agricoli. Esiste un rischio potenziale di ricombinazione genetica con virus influenzali umani che potrebbe esitare in una variante virale capace di una trasmissione da uomo a uomo.
Nel corso dell’ epidemia d’ influenza aviaria che ha colpito nel 2005 dieci paesi asiatici (Cina, Pakistan, Tailandia, Cambogia, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan, Laos e Vietnam) con 80 milioni di polli morti o sacrificati e 42 casi mortali umani è stato identificato il virus H5N1 come agente etiologico, lo stesso che nel 1997 aveva provocato un focolaio epidemico ad Hong Kong con 18 soggetti umani contagiati e 6 morti e con il sacrificio di un milione e mezzo di polli.
Le epidemie influenzali aviarie si sono succedute recentemente con implicazione di ceppi virali diversi come l’ H9N2 nel 1999, due bambini contagiati ed anche altri individui, e nel 2003, un ragazzino infettato, a Hong Kong, mentre H5N1 ha colpito tre soggetti di una stessa famiglia uccidendone due sempre nel 2003. Contemporaneamente in Olanda un’ epidemia da virus influenzale aviario H7N7 colpiva 83 persone e portava a morte un veterinario.
Nel 2005 negli USA focolai epidemici d’ influenza aviaria sono stati identificati nel Texas e nel Delaware (Virus H7N2), in quest’ ultimo Stato insieme a territori del Maryland e della Virginia lavorano 14.000 persone e 1.900 famiglie che producono l’ 8% della carne di pollame americano, con un bilancio di un miliardo e mezzo di dollari. Nel 2003 l’ esportazione americana in Europa ha raggiunto la quota di otto milioni e ottocento mila uova e 452 mila pulcini, rispettivamente per 20 milioni e 3 milioni di euro.
Per l’ emergenza creata dall’ epidemia di “influenza dei maiali” in Messico è giusto non creare allarmismi essendo vittime di una cattiva informazione. La possibilità che il virus arrivi in altre parti del mondo c’è come del resto per tutti i tipi di virus influenzali. E’ chiaro che l’ animale morto è innocuo. Esiste un rischio potenziale di ricombinazione genetica con virus influenzali umani già circolanti che potrebbe esitare in una variante virale capace di una trasmissione da uomo a uomo di tipo aggressivo e più dannosa.
Se per la SARS era necessario un contatto diretto, per dirla in termini pratici le cosiddette goccioline di Pflugge, per questa influenza è diverso, infatti si diffonde attraverso l’ aria anche a distanza. E’ del tutto inutile impostare una sindrome da panico che spesso avviene attraverso una cattiva informazione o una scarsa conoscenza del fenomeno. Quindi nessun allarmismo perché il numero delle vittime è decisamente inferiore ad altre forme influenzali.
Pochi anni addietro vi è stato l’ annuncio a Napoli di un focolaio di malattia di Newcastle in una partita di pappagalli provenienti dal Pakistan. La malattia di Newcastle rappresenta un utile paradigma dell’ infezione influenzale nell’ uomo. Fortunatamente, non c’è una patologia umana riferita a questo virus, per cui la scoperta di focolai di malattie di Newcastle a Napoli non dovrebbe dare adito a preoccupazioni di sorta per la salute dei napoletani. Infine i rischi della malattia di Newcastle sono più legati agli allevamenti di volatili nostrani che, non immuni a questo virus, possono essere esposti a un’ epidemia.
La vaccinazione contro l’ influenza è il metodo più efficace per prevenire la malattia. Dal momento che ci troviamo di fronte all’ isolamento di un nuovo virus influenzale, dovremo aspettare la preparazione di un nuovo vaccino specifico che sarà pronto per la prossima stagione influenzale in autunno.
I farmaci antivirali (inibitori della neuraminidasi, recettore di superficie del virus) dovrebbero essere assunti entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi influenzali e nei soggetti esposti ad uno stretto contatto con persone infettate dal virus influenzale.