Cartella Clinica. Solo Burocrazia?
Nell’ambito della tutela dei diritti del malato, la giurisprudenza conferisce grande importanza a questo incartamento
Dopo  ore e ore di corsia dover compilare anche caselle, grafici e tabelle  risulta stressante e avvilente, eppure in quel momento il medico  diligente, preparato e sempre attento con i pazienti potrebbe firmare un  documento potenzialmente capace di smentire l’operato di tutta la sua  giornata.
La compilazione e la tenuta di una cartella clinica,  infatti, viene molto spesso vista come un semplice “adempimento  burocratico” eppure questo gesto, anzi, questa serie continua di  “attestazioni”, ha finalità e conseguenze ragguardevoli.
Una cartella  clinica ha, innanzitutto, finalità diagnostico-terapeutiche ma è  utilizzata anche per indagini di natura scientifica, statistica,  medico-legale; è uno strumento di lavoro essenziale per il medico  operante in una struttura di degenza e verbalizza il decorso clinico di  ogni paziente, le decisioni assunte, gli interventi effettuati. Si può  definire come uno strumento ed un mezzo di cura ma, altresì, un mezzo di  prova medico-legale dell’operato degli operatori sanitari, sia in sede  giudiziaria che in quella professionale ed amministrativa. In tribunale,  poi, la prova del danno può essere fornita oltre che con prove  costituende anche attraverso prove documentali, tra le quali, per la  giurisprudenza, la cartella clinica la fa da padrona.
Purtroppo non  esiste una normativa esaustiva, chiara che possa costituire un punto di  riferimento univoco nelle situazioni di ogni giorno ma conseguentemente  la cura e l’attenzione necessarie e le conoscenze tecniche essenziali  diventano imprescindibili.
Per cogliere la complessità di questo  documento basti pensare che le attestazioni in essa contenute assumono  una diversa qualificazione a seconda della natura dell’attività svolta e  dei medici che le sottoscrivono. La giurisprudenza afferma che le  attestazioni riguardanti le attività espletate nel corso di una terapia o  di un intervento sono riferibili ad una certificazione amministrativa,  mentre quelle attinenti alle valutazioni, alle diagnosi o, comunque, a  manifestazioni di scienza o di opinione non hanno alcun valore  probatorio privilegiato rispetto ad altri elementi di prova. Ma ciò non  basta, perché nelle strutture sanitarie non convenzionate per lo stesso  documento deve parlarsi, invece, di semplice resoconto di natura privata  dell’attività svolta, di un promemoria dell’attività diagnostica e  terapeutica svolta, in quanto non riveste carattere di atto pubblico se  il documento è redatto da un medico in qualità di libero professionista  ma solo di semplice scrittura privata ( ex art.2702c.c.).
Ancora più  complesso risulta l’aspetto dei criteri specifici cui preordinare la  compilazione di una cartella a causa della varietà di schemi adottati,  per la terminologia medico-biologica da utilizzare e se si tiene conto,  altresì, della normativa sul consenso informato che prescrive una serie  di rigide limitazioni.
Tutto questo non può essere in alcun modo  sottovalutato perché un’irregolare compilazione della cartella può  diventare un atto colposo, in quanto esprime negligenza, incuria,  disattenzione o irresponsabilità da valutare in sede giudiziale e  amministrativa; inoltre, la sua difettosa tenuta addirittura può far  scaturire, a seconda delle fattispecie concretamente verificatesi, forme  di responsabilità civile e penale.
Per quel che concerne poi la  conservazione e l’accesso alla cartella la legge prevede rispettivamente  un obbligo illimitato anche mediante la microfilmatura e un iter  procedimentalizzato e da disciplinare sotto tutti i punti di vista, in  particolar modo nelle ipotesi speciali di soggetti incapaci o di accesso  alla cartella clinica di una persona deceduta.
Più di recente,  quello che ha posto problematiche importanti, destinate peraltro ad  aggravarsi, è l’introduzione, almeno a livello legislativo, del  fascicolo sanitario e del dossier sanitario elettronico ( 3 agosto 2009)  nonché del referto on-line ( 11 dicembre 2009), rispetto ai quali il  Garante per la privacy ha emanato delle linee guida che contemplano una  serie di misure di garanzia per il paziente; comportano non pochi oneri  per le strutture sanitarie e prevedono, per la loro inosservanza, le  sanzioni previste precipuamente dal Codice della Privacy.
Strettamente  connesso al tema della cartella clinica è, altresì, quello della tutela  della personalità del paziente e, quindi, del consenso informato.
La  prestazione medica ha assunto un contenuto sempre più ampio: non più la  sola diagnosi e cura della malattia, ma tutta una serie di attività  funzionalmente collegate, precedenti, concomitanti e successive alla  prestazione medica in senso stretto (tradizionalmente intesa), tra le  quali risulta fondamentale quella relativa all’informazione e diretta al  consenso.
Il consenso del paziente ha natura ambivalente:  costituisce presupposto dell’attività medica per l’esercizio del diritto  alla salute e la libertà di autodeterminazione e, nello stesso tempo,  manifestazione di volontà contrattuale; due facce della stessa  medaglia!.
La ragione della sempre maggiore centralità del consenso  informato è da ricercare nella contrattualizzazione della responsabilità  medica, ormai da tempo enunciata, valutata nei risvolti applicativi,  che esprime una complessiva logica riequilibrante delle posizioni delle  parti. Anzi, soffermandosi sui dati offerti dalle sempre più numerose  cause instaurate contro i medici, si può affermare che, dopo anni di  sostanziale prevalenza e immunità della posizione di questi ultimi, oggi  il segno è opposto e si assiste ad un continuo rafforzamento della  posizione del paziente con una maggiore centralità del suo atto di  volontà.
Ma le domande immediatamente successive a tutto questo sono:  qual è il contenuto dell’obbligo informativo e su chi ricade? quali  sono i casi eccezionali di esclusione dell’obbligo informativo? e,  ancora, è responsabile penalmente il medico che sottopone un paziente ad  un trattamento diverso da quello in relazione al quale era stato  prestato il consenso?
Sono fattispecie complesse con le quali il  medico si rapporta ogni giorno e senza disporre di enormi lassi di tempo  per decidere come comportarsi ma con delle conseguenze che potrebbero  rivelarsi disastrose per la propria carriera.
Ormai qualsiasi  avvocato al quale viene sottoposto un caso di responsabilità medica  chiede al cliente la cartella clinica, gli indica i riferimenti  normativi in base ai quali accedere presso la struttura sanitaria e la  sottopone al vaglio dei propri consulenti tecnici prima ancora di andare  in giudizio. A quel punto è troppo tardi capire le disposizioni  normative sparse in diversi testi legislativi per comprendere a  posterius, non tanto se il proprio lavoro di medico è stato ben fatto ma  quello che risulta essere stato compiuto nella cartella clinica e nei  diversi allegati quali i referti, il verbale operatorio o la scheda di  dimissioni