USA: paziente tetraplegica muove un braccio robotico con il pensiero

Era stata colpita da un infarto che aveva causato dei danni a livello del tronco encefalico, alla base del cranio, e da diversi anni vive in uno stato di completa paralisi, incapace persino di parlare.

I neurochirurghi avevano impiantato in un’area della corteccia cerebrale chiamata corteccia motoria, ossia dove sono presenti i circuiti neuronali da cui partono gli “ordini” per il movimento degli arti, un dispositivo dalle dimensioni di pochi millimetri chiamato protesi neuromotoria.

Gli impulsi che la corteccia motoria trasferiva al dispositivo, venivano convertiti tramite un software in comandi digitali, tramite i quali, fino a questo momento i ricercatori erano riusciti esclusivamente a consentire alla paziente di nome Cathy di muovere un cursore su di uno schermo.

Un nuovo trial pubblicato ieri dalla rivista Nature, documenta come il progresso degli algoritmi di decodificazione dei segnali trasmessi dal dispositivo sia riuscito a consentire a Cathy, di impartire direttive ad un braccio robotico in maniera tale da fargli compiere movimenti tridimensionali.

Come testimoniato da un video registrato durante l’esperimento, Cathy è riuscita a far afferrare al braccio una bottiglietta con del caffè portandola davanti alla propria bocca. Il risultato ha suscitato notevole stupore in primis nella stessa paziente, il cui sorriso è stato senz’altro il più valido elemento di gratificazione per i ricercatori.

Rodrigo Quian Quiroga, neuro ingegnere presso l’Università di Leicester, Gran Bretagna, non coinvolto nello studio, ritiene queste evidenze estremamente promettenti, e non nasconde il proprio stupore nell’aver constatato che, a vari anni di distanza dall’insorgenza della paralisi, i circuiti neuronali cerebrali la cui attività costituisce il primum movens del movimento degli arti, siano ancora in grado di attivarsi determinando in tal modo l’intenzione del movimento.

La prospettiva più lungimirante di questo tipo di ricerca, come riferito da John Donoghue, uno degli autori dello studio, sarebbe quella di riuscire a scavalcare persino l’utilizzo di un braccio robotico per impartire segnali direttamente ai muscoli della persona paralizzata.

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