Onora il padre e la madre…e i figli?

Nella comunicazione familiare il dialogo, l’ascolto, l’attenzione sono gli elementi fondamentali per la crescita, lo sviluppo e la maturità dei figli. Per instaurare una comunicazione efficace è importante partire da una dimensione di ascolto, prestando attenzione alle emozioni e alle opinioni che i figli possono esprimere. E’ una modalità di comunicazione che va costruita quotidianamente, con pazienza e attenzione, cominciando dai primi scambi verbali e non verbali.
Quando i bambini sono piccoli è importante la funzione e la modalità della comunicazione, il numero di scambi, la varietà di segnali e la ricchezza del linguaggio, per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative e l’intelligenza. E’ fondamentale prendere seriamente quello che dice il bambino, che ha bisogno di essere ascoltato attentamente e non superficialmente.

L’essere sempre interrotto o criticato non gli permette di acquisire sicurezza nei suoi stessi pensieri e di sviluppare un buon livello di autostima, ma anche, dargli sempre ragione, lasciarlo parlare continuamente quando ha bisogno di essere contenuto, non gli permettere di sviluppare un proprio senso critico e la capacità di interpretare in modo obiettivo ed equilibrato un evento, una situazione, un argomento, ecc. Il sostegno maggiore è dato dall’essere ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso, appoggiato e contenuto e dalla possibilità di confrontarsi con l’adulto quando questi ha un’opinione diversa dalla sua. Un aspetto fondamentale della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo, infatti, è possibile uno sviluppo più armonico e sereno se c’è maggiore confidenza con i genitori e se si creano situazioni in cui è possibile per ognuno raccontare le proprie esperienze, quanto accade durante la giornata; i bambini, i ragazzi risultano emotivamente più equilibrati e socialmente maturi. Spesso però la relazione tra genitori e figli è caratterizzata dalla conflittualità, quasi che litigare debba essere considerata un’esigenza! Molte volte alla base degli scontri c’è il bisogno di potere. Un po’, come per gli altri animali, è come se si lottasse per definire chi comanda sul territorio. L’aggressività intra-specifica è usata dagli animali da branco per definire in maniera naturale quale individuo del gruppo debba essere riconosciuto come “dominante”. Ma cosa accade nella nostra specie? Sia una parte che l’altra fa a braccio di ferro per imporre la propria leadership, ma le tecniche usate per il combattimento non sono sempre chiare ed esplicite. Esistono, infatti, tre forme di aggressività comunemente messe in azione da entrambe le parti con la finalità di esprimere il proprio potere: quella diretta, quella indiretta e quella nascosta.

La prima è la più facilmente identificabile e corrisponde all’azione di rivalsa immediata del tipo:” tu mi aggredisci ed io ti rispondo”! La seconda è più sofisticata perché evidenzia una certa subordinazione nei confronti dell’aggressore ed è del tipo: “mio padre mi ha trattato male, ed io tratto male mio figlio”! Indiretta, appunto, perché è rivolta contro terzi. Il perpetuarsi del male da generazione a generazione mediante la ingiusta pratica di far pagare agli innocenti le colpe altrui. La terza forma di aggressività, infine, è quella più subdola e tremenda, perché spesso non riconosciuta ed è del tipo:” tu mi fai del male… ed io faccio delle cose, apparentemente non collegate a te, ma che ti facciano soffrire”! Una sorta di vendetta servita fredda in maniera a volte straordinariamente camuffata. Un esempio classico? Mia madre mi controlla ed io le dico che le voglio molto bene ma… non mangio! Uno stratagemma diabolico, a volte inconscio, che induce i genitori a sostenere con tutte le proprie forze battaglie devastanti e, di contro, i figli a reagire, anche in maniera autolesionistica, pur di arrecare sofferenza all’avversario. Dopo anni di “guerra fredda” il figlio che non può esprimere in maniera diretta il proprio dissenso e che non scarica la propria rabbia contro fratelli minori o terzi, capisce quali sono i punti “deboli” del genitore e… al momento opportuno sferra il colpo! Così accade, per esempio, che il figlio fumi, beva, faccia uso di sostanze, mangi troppo o troppo poco, sia svogliato a scuola, non si curi, sia distratto, sia ansioso o sia abbattuto o metta in atto forme varie di autolesionismo… ogni volta che abbia necessità di esprimere la propria aggressività nella forma che più “destrutturi” il proprio genitore. Più è aspra la battaglia, più è grave il modo in cui essa si esprime. Cosi è più semplice!

Quando è utile far intervenire lo psicologo?
Essere genitori è una delle importanti sfide della vita adulta. La maggior parte delle persone desidera essere non solo un genitore ma un buon genitore. E’ importante per ogni genitore ricevere ascolto rispetto alle difficoltà che si trovano ad affrontare nella crescita dei figli,avere indicazioni e  suggerimenti da parte di esperti in ambito psico-pedagogico su tematiche inerenti allo sviluppo dei bambini e dei ragazzi,poter condividere con altri genitori difficoltà e sfide quotidiane. La terapia familiare può essere un percorso utile nel caso di conflittualità tra genitori, tra genitori e figli, tra figli o che coinvolgono altri parenti come i genitori della coppia, altri familiari, ecc. Si ricorre alla terapia familiare non solo in presenza di conflittualità ma può essere utile anche per difficoltà più o meno gravi di uno più figli o di un altro membro della famiglia, quali ad esempio disturbi alimentari, ritiro dalla vita sociale, depressione, rabbia incontenibile, difficoltà nel distacco, e altro ancora. Si rivela molto utile per problemi dei bambini e degli adolescenti e nei casi dove sia difficoltoso raggiungere nuovi equilibri a causa di momenti evolutivi delle famiglie (passaggio alla “famiglia adolescente”, figli che escono dalla famiglia, cura dei genitori anziani, ecc.) o per trasformazioni che la famiglia ha attraversato (lutti, traumi, separazioni, famiglie ricostituite, famiglie allargate, ecc.).

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