Le liste d’attesa spaventano, per gli italiani è il principale motivo di rinuncia alle cure

Liste d’attesa lunghe, lunghissime, quasi infinite. Un problema che affligge moltissime strutture pubbliche in tutto il territorio nazionale e che, purtroppo, per circa il 40% degli italiani rappresenta la prima causa di rinuncia alle cure.

E’ questo il dato impietoso emerso dall’analisi del Sistema Sanitario Nazionale viene da un rapporto di European House-Ambrosetti, reso pubblico a Roma nel corso di un incontro organizzato da UniSalute, società che gestisce 43 Fondi Sanitari integrativi di categoria.

Secondo il report, le situazioni più estreme si toccano nelle visite specialistiche: circa il 60% di chi ha sperimentato una lista di attesa per visita specialistica ha dovuto fissare un appuntamento oltre il mese, con una percentuale che scende al 42,7% per quanto concerne gli accertamenti (ma le punte toccano e superano i 120 giorni).

Anche le prospettive in chiave futura non sono così rosee. Lo studio infatti evidenzia come l’incidenza della spesa sanitaria pubblica italiana sul Pil (pari a 6,6%) sia minore della media europea (7,4%) e nei prossimi anni sia destinata a diminuire. Il gap rispetto ad altri paesi del come Germania, Svezia e Paesi Bassi è notevole. In questi stati si tende a spendere più di 4.000 euro l’anno per ogni cittadino, quasi il doppio di quanto spende l’Italia.

Questo si sta traducendo, avvertono gli esperti, in una maggiore spesa da parte dei cittadini. “La tendenza all’aumento della spesa sanitaria privata e soprattutto di quella out of pocket (ben il 24% in più negli ultimi anni) – scrivono gli esperti – evidenzia uno stato di sofferenza del nostro sistema sanitario nazionale in considerazione di uno sbilanciamento demografico verso la fascia più anziana delle popolazione che genera conseguentemente una maggiore domanda di salute”.

Il tutto, secondo gli esperti che hanno condotto il rapporto, si traduce in una maggiore spesa sanitaria privata. Di fatti, afferma l’analisi, il 91% della spesa sanitaria privata, equivalente a 36 miliardi di euro, è di tipo out of pocket, ovvero è stata sostenuta interamente di tasca propria dai cittadini, mentre solamente il 9% è spesa intermediata.

“Siamo convinti che la sanità integrativa dovrà mantenere e ampliare il ruolo di primo piano grazie all’importante attività svolta ad oggi dai Fondi Sanitari di categoria che hanno consentito di intercettare parte della spesa diretta in sanità per oltre 5,8 milioni di assistiti”, ha commentato l’Amministratore Delegato di UniSalute, Fiammetta Fabris, che a chiusura dell’evento ha evidenziato come, in questi anni, i Fondi Sanitari di categoria da CCNL abbiano assicurato prestazioni per un valore di circa 2 miliardi di euro.

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