Il senso di giustizia

Stamattina lo confesso, ho aiutato mio figlio a fare il compito in classe di diritto, tramite il telefono.
E subito dopo mi è venuto in mente quando andavo a scuola io e i cellulari non c’erano e comunque copiare era un disonore e quindi si studiava e basta, o almeno così facevo io. Questa rigidità mentale mi ha provocato non pochi problemi nella mia vita, con questa bella linea tracciata tra giusto e sbagliato, onesto e disonesto… Se fossi stata più flessibile e meno rigida sarebbe stato meglio in tutti i sensi, e quindi è anche per questo che aiuto mio figlio a fare il compito in classe. Consapevole che ha studiato poco e male, usando una bugia o scorciatoia o altro per arrivare al risultato. La vita non è facile, tutt’altro, e non adatta a dare consigli a nessuno, compresa me stessa, cerco di non essere più così bacchettona su regole e leggi.

A questo proposito, l’altra sera ho visto il bellissimo film “GRAN TORINO” con Clint Eastwood, dove il senso di giustizia e onestà gronda da ogni inquadratura… Dire che sia un capolavoro è poco, diciamo che è un film che ti entra dentro. La morte, il suo significato, come il significato della vita e dell’onestà. Soprattutto non cedere mai all’ingiustizia e alle prepotenze.
Mio figlio mi aveva avvertito che era un film stupendo (che lui aveva visto al cinema) ma non immaginavo così tanto. Questo vecchietto duro e granitico fa una tenerezza infinita, nella sua solitudine e nel suo essere fieramente vecchio. Un passato che lo ha segnato nel profondo e un presente che gli rende tramite degli estranei il vero concetto di amicizia e vicinanza.
I figli lontani da lui anni luce, dalla comprensione alla compagnia, tanto che si sentono e si vedono estranei da questo padre così tutto d’un pezzo. La scena finale è davvero commovente, fiera e giusta.
Tutto torna. Basta lasciarsi andare e sentire, empatia. Una cosa così difficile da provare che spesso ci isola da tutto e da tutti. Il cane che lo accompagna nelle giornate solitarie è una sicura compagnia che rende doloroso il distacco nella morte. Tanto che si preoccupa di cederlo a persone che sono degne di averlo. Pensiero di non poco conto per i nostri amici animali che ci fanno compagnia e riempiono le nostre giornate. Un compleanno vissuto per caso non in famiglia ma insieme ai vicini di casa, quegli estranei che si salutano tutti i giorni senza sapere veramente chi e cosa sono, tranne rare eccezioni. Le sue battute sono uno spasso da non perdere, e alla fine del film, ti fanno sentire una terribile nostalgia per uomini così che non se ne fanno più… purtroppo. Tra l’altro assomiglia molto a mio padre sia fisicamente che caratterialmente. Li chiamo uomini tutto fare che sanno aggiustare tutto in qualsiasi modo e in qualsiasi momento. Non aggiustano solo le cose, aggiustano anche le situazioni e come se avessero un S.O.S. sempre acceso nel loro stanco cuore, non si tirano mai indietro nelle richieste di aiuto. Mah… altre vite, altri tempi. La vita ha un sapore amaro e dolce per il genio Clint, per fortuna che ogni tanto c’è chi lo ricorda.

Il senso di giustizia è più legato alle emozioni che al razionale

Uno studio apparso sulla rivista americana Science in data odierna mostra i circuiti neurologici che determinano alcune decisioni, come spiega Ming Hsu della Università dell’Illinois, co-autore di questo studio. I ricercatori hanno utilizzato la tecnica di risonanza magnetica funzionale (IRMf) per osservare in tempo reale il funzionamento del cervello dei partecipanti allo studio.

Si è proposta una situazione virtuale, per cui ciascun partecipante doveva consegnare un camion con cento chili di cibo a degli orfani di un paese del terzo mondo, martoriato dalla fame. Il tempo necessario per portare gli alimenti a tutti i bambini avrebbe comportato la perdita di 20 kg del carico. Se invece si progettava di scaricare il cibo solo alla metà degli orfani, le perdite del carico sarebbero state ridotte a 5 kg.
Si proponeva dunque il solito dilemma: meglio un comportamento eticamente giusto, ma poco efficace sul piano pratico o un comportamento efficace, ma moralmente discutibile?

L’analisi compiuta ha mostrato che questa decisione attiva tre aree del cervello in momenti diversi del processo decisionale. L’insula, zona del cervello molto legata alle emozioni, come la collera, la paura, il disgusto, o la felicità è stata attivata prevalentemente quando prevaleva il principio dell’equità, mentre il putamen, altra regione cerebrale, era più attiva quando i volontari pensavano che sarebbe stato meglio pensare all’efficacia dell’operazione. L’attivazione dell’insula sembra confermare l’ipotesi secondo la quale l’emozione gioca un ruolo importante nell’affrontare i temi riguardanti l’ingiustizia, rivela Ming Hsu. La conclusione dei ricercatori è stata che quando dobbiamo decidere se qualcosa è etico o non lo è, la nostra decisione è più dovuta alle emozioni che al pensiero razionale.

Senso di giustizia e Neurobiologia

Gran parte delle ricerche neurobiologiche realizzate con tecniche di brain imaging sono sterili. Esse non vanno al di là dell’evidenziare il fatto, peraltro ovvio, che le strutture cognitive e quelle emozionali sono differenziate anatomicamente e funzionalmente e, nello stesso tempo, correlate. Ma chi ha mai avuto dubbi riguardo a questo? Probabilmente, un progresso scientifico autentico su questo piano si potrebbe conseguire solo cercando di stabilire nessi più precisi tra il significato delle immagini e l’esperienza soggettiva. Anche per questa via, dato il carattere piuttosto globalistico delle tecniche neuroradiologiche, non si arriverebbe a molto. Si fornirebbero almeno le prove della sostanziale fondatezza delle ipotesi suggerite dagli approcci psicodinamici all’attività mentale umana, in particolare per quanto concerne il ruolo pervasivo delle emozioni.

Un certo imbarazzo nel valutare i dati neuroradiologici che sempre più spesso vengono pubblicati, discende dallo scarto tra i limiti delle tecniche adottate e gli obbiettivi che ingenuamente i neurobiologi si propongono, che riguardano, al di là delle malattie mentali, il pensiero astratto, la moralità, la creatività e addirittura la spiritualità.

Come ogni innovazione tecnologica, anche le tecniche di brain imaging hanno creato una sorta di effervescenza, che può essere utile a patto che sia assoggettata ad un vaglio critico. Che significa questo? Nulla di meglio che procedere sulla base di un esempio.

Sull’ultimo numero di Science è stata pubblicata una ricerca a firma di un gruppo di neurobiologi di Princeton. La ricerca riguarda il senso di giustizia che, in un’ottica tipicamente statunitense, viene testato sul terreno dell’economia.

Il test è questo. Si propone al soggetto A di avere gratuitamente una somma di dollari a patto che egli la divida con il soggetto B. A deve fare una proposta che può essere accettata o rifiutata da B. Se questi la rifiuta, però, rimangono entrambi senza nulla. Da un punto di vista utilitaristico, A dovrebbe proporre la quota più bassa per massimizzare il suo vantaggio economico, puntando sul fatto che B potrebbe essere indotto ad accettarla in nome del criterio utilitaristico per cui poco (e gratuito) è comunque meglio di nulla.

Ripetuto con vari soggetti, il risultato del test contraddice l’ipotesi utilitaristica. Le offerte inique sono respinte nel 50% dei casi. Ma esse sono minoritarie: più spesso A è indotto a fare delle proposte in una certa misura eque, che vengono accettate.

Le tecniche di neuroimaging dimostrano che il rifiuto delle offerte inique corrisponde all’attivazione di centri emozionali negativi, già da tempo correlati al disgusto fisico. L’attivazione lascia dunque pensare che essi abbiano una valenza “morale” concernente il senso di giustizia. Dato che si tratta di centri filogeneticamente antichi rispetto alla corteccia frontale, laddove sono rappresentati concettualmente i valori morali astratti, la conclusione degli autori è che esiste nell’uomo un senso innato di giustizia.

La griglia teorica della ricerca è sufficientemente chiara. La teoria economica classica e neoclassica, che pretende di poter dire una parola ultima sulla natura umana, parte dal presupposto che l’uomo si muove solo sulla base del suo interesse personale, egoistico. Di recente, questo presupposto è stato messo in discussione da economisti liberals, per esempio Amartya Sen (“Etica e economia”), i quali hanno sostenuto che, anche solo a livello di comportamento economico, l’uomo, nell’operare delle decisioni tiene conto anche di valori morali. La ricerca in questione sembra deporre a favore di questo secondo orientamento.

Un’ipotesi “bizzarra” del genere, concernente un senso innato di giustizia, come forse sa qualche lettore, l’ho avanzata da molto tempo, ricavandola dalle esperienze terapeutiche e dallo studio dell’introversione, e ribadendola in tutte le opere fino a SMT, nel cui tessuto discorsivo occupa un posto centrale. Vederla accreditata da una ricerca neurobiologica non può che fare piacere, anche se sussistono pochi dubbi che, a breve, qualche altro ricercatore cercherà di dimostrare il contrario.

Certo, volendo spaccare il capello in quattro, il test utilizzato non appare univocamente significativo. Il rifiuto delle offerte inique, in particolare, potrebbe essere interpretato anche in termini di calcolo utilitaristico. Laddove si dà una competizione egoistica, come ben sanno le aziende in concorrenza tra loro, l’utilità può essere intesa sia in termini di vantaggio netto sia in termini di svantaggio che si può arrecare all’azienda rivale. Da questo punto di vista, il vantaggio di B potrebbe essere ricondotto alla soddisfazione di infliggere ad A un danno maggiore di quello che egli stesso subisce. Tale soddisfazione punirebbe l’egoismo di A incompatibile con quello di B. Anche in questo caso, si potrebbe risalire ad una motivazione equitaria, ma si tratterebbe di una motivazione reciprocamente egoistica.

Non mi sembra però il caso di sottilizzare. Se qualcuno si aspetta che la neuroradiologia, che verte su cervelli adulti impastati di cultura, possa rivelarci un giorno qualche verità ultima sulla natura umana, s’illude. Se esiste uno spiraglio inerente questa possibilità, esso rimane vincolato all’esplorazione dinamica della personalità. Non si può minimizzare il fatto però che la scienza neurobiologica si ponga problemi inerenti le motivazioni morali che sottostanno ai comportamenti. Ciò significa che sta maturando, in qualche misura, una certa insofferenza nei confronti di un modello antropologico, quello appunto utilitaristico, fondato sul calcolo razionale in termini di vantaggio egoistico, che il trionfo del capitalismo ha corroborato come non trascendibile.

Una riflessione pertinente a riguardo concerne la necessità di distinguere due concetti che spesso vengono confusi. L’equità è un concetto economico che riguarda la distribuzione del reddito. Il senso di giustizia implica invece il riferimento a diritti primari dell’individuo, quali la dignità, che non possono essere vioati senza che si mobiliti una reazione emozionale. Perché è importante questa distinzione? Perché, come ho detto altrove, equità è un concetto che riconosce diverse versioni alcune delle quali possono portare al paradosso per cui una ditribuzione del reddito ritenuta equa è nondimeno ingiusta.

Io credo che la neurobiologia possa ancora dire molto sull’uomo, a patto che, affrontando certi problemi, si attrezzi un po’ meglio sul piano filosofico.

Dott.ssa Elisa Mazzola, Psicologa

Leave a comment

* Questa casella GDPR è richiesta

*

Accetto

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.