Il latte di cammella: un nuovo latte per vecchi problemi

Il latte di cammella (LC) è utilizzato in molte parti del mondo, soprattutto in Africa nord-orientale, Medio Oriente, Arabia Saudita e Cina, come sostituto del latte materno (LM). Dal punto di vista nutrizionale, seppur con ampie variazioni stagionali, contiene all’incirca il 3,5% di proteine, il 3,5% di grassi quasi tutti polinsaturi, il 4,4% di lattosio ed è ricco in oligoelementi

CammellaTra le proteine, quella contenuta in maggiore quantità è la caseina che corrisponde al 52-87% del totale, di questa, la subunità β ne è la principale rappresentante conferendo al LC buona affinità con il LM sia per quanto riguarda l’alta digeribilità che la bassa incidenza di allergia nei soggetti predisposti. La percentuale della β caseina nel LC rappresenta, infatti, il 65% delle caseine totali, seguita dall’α-1 caseina che ne costituisce circa il 21% mentre, nel latte vaccino (LV), si aggirano rispettivamente intorno al 36% e 38%.

Solo il 3,4% delle caseine del LC corrisponde alla k-caseina, rispetto al 13% del LV. Di particolare interesse è che il LC risulta privo, come il LM, di β-lattoglobulina, uno dei principali allergeni coinvolti nell’allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) e che rappresenta il 50% delle sieroproteine totali del LV stesso. È noto, infatti, che quest’ultimo rappresenta un’alternativa al LM quando l’allattamento al seno non è possibile o insufficiente ma, purtroppo, le proteine del LV, ed in particolare le caseine e la β-lattoglobulina, possono risultare allergizzanti nei lattanti predisposti, dando luogo ad una patologia nota come APLV. Questo ha reso necessario individuare, nel tempo, delle valide alternative alimentari attraverso l’utilizzo di latti di altri mammiferi ovvero latti “artificiali”.

Il LC, con la sua composizione unica, sta attirando oggi un interesse sempre crescente per i suoi possibili utilizzi nella medicina umana. Gli studi sulla composizione e sulle potenzialità terapeutiche del LC sono stati condotti principalmente nelle aree dove la popolazione di cammelli è maggiormente rappresentata, soprattutto da ricercatori Arabi, Israeliani e Pakistani. Tali studi, seppure su casistiche limitate, sembrerebbero confermare sia la differenza immunologica tra il LV e il LC sia il possibile utilizzo del LC in patologie come la APLV. E non solo. In Medio Oriente è da sempre diffusa la “credenza” che il consumo regolare di LC possa prevenire e controllare il DM. Trials randomizzati/controllati hanno dimostrato infatti come in bambini e giovani-adulti con Diabete Mellito (DM) tipo 1 e 2 la supplementazione con LC alla terapia convenzionale riduca significativamente il fabbisogno insulinico, migliori il controllo metabolico, il profilo lipidico e i livelli di C-peptide. E’ stata riportata anche una significativa riduzione della microalbuminuria nei casi di nefropatia incipiente in pazienti con DM 1.

Il meccanismo fisiopatologico alla base non è stato ancora chiarito sebbene nel LC sia stata rilevata, con tecnica RIA, un’elevata concentrazione di insulina (52 UI/l vs 16 LV vs 60 LM). Le ipotesi perciò formulate sono diverse: il LC conterrebbe una proteina con caratteristiche simili all’insulina che però non coagula nello stomaco a pH acido; l’insulina potrebbe essere racchiusa all’interno di nanoparticelle (vescicole lipidiche) e passare quindi indenne attraverso lo stomaco; potrebbero essere presenti sostanze insulin-like assorbibili e capaci di legarsi al recettore dell’insulina mimandone gli effetti metabolici; molecole immunomodulatrici, una volta assorbite, interagirebbero sui meccanismi patogenetici della malattia.

E non solo. Sempre più evidenze in vitro ed in vivo propongono l’impiego del LC anche nel trattamento dell’autismo, della steatosi epatica, del morbo di Crohn e della diarrea.

Dai primi mesi del 2013, sia la Food and Drug Administration (FDA) che il Dipartimento per la Salute e la Politica dei Consumatori della Commissione Europea hanno concluso le procedure di autorizzazione per il commercio e l’uso del LC nei rispettivi territori, rendendo più facile il reperimento del prodotto in Europa ed USA.

In conclusione, se altri studi clinici confermeranno le potenzialità del LC sicuramente questo potrà rappresentare un ottimo sostituto dei latti ipoallergenici e un’alternativa al latte di altre specie animali (asina) nel trattamento dell’APLV. In questo caso, il costo elevato sarebbe in linea con quello del latte di altri mammiferi. Per quanto riguarda l’impiego del LC nel trattamento dei pazienti diabeti l’ipotesi è particolarmente affascinante e, se confermata, d’indubbia utilità in una patologia in costante aumento. Circa le altre patologie, i dati ad oggi disponibili sono ancora troppo preliminari ma meritano comunque un maggiore approfondimento.

A Cura di:

Roberto Miniero1, Giuseppe Antonio Mazza1, A. M. Mahadi2

(1) Cattedra di Pediatra. Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche, Università Magna Graecia   di Catanzaro

(2) Dipartimento di Pediatria. Università di Hargeisa-Somaliland

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