Figli unici: tristi o più felici?

Mia figlia di cinque anni, mi chiede di continuo un fratellino. Premetto che sono casalinga non per scelta ma per necessità in quanto mi è difficile rientrare nel mondo del lavoro dopo tanti anni di assenza dedicati alla crescita della mia bambina. Mio marito ha uno stipendio buono ma la decisione di fare un secondo figlio ci spaventa. Nello stesso tempo vivo con il timore di viziarla eccessivamente e che da grande ci rinfaccerà di essere sola al mondo…..

Alessandra C.

Il periodo di forte crisi economica in cui stiamo vivendo purtroppo ci condiziona nella scelta di formare una famiglia numerosa. Il boom economico è un ricordo, come quello demografico, anche perché un figlio assorbe circa il 25% del reddito. E poi, non c’è più quella rete di sostegni che anni fa veniva offerta dalla famiglia d’origine. Così, ogni donna ha in media 1,3 figli, ma nella realtà ne vorrebbe due. Per necessità o per scelta sempre più spesso si opta per avere un solo figlio, anche se socialmente questa soluzione non viene condivisa da chi ci circonda. A ciò si somma il senso di colpa per il convincimento che condanneremo nostro figlio ad una vita di solitudine e timidezza. La visione del senso comune è che solitamente il figlio unico, sarà un bambino introverso, viziato e forse anche un po’ triste, che fa fatica a staccarsi da mamma e papà e a socializzare con i coetanei. Ma questa rappresentazione sociale è attendibile?
I figli unici sono più felici di quelli che hanno almeno un fratello o una sorella.
Secondo una ricerca inglese (Economic and Social Research Council – un’agenzia governativa del Regno Unito), infatti, i figli unici risultano essere i più felici, visto che il livello di felicità scende con l’aumentare del numero di fratelli e sorelle. Perché mai dovrebbero essere più felici? Perché non devono competere per attirare l’attenzione e le cure genitoriali: questo perché i figli, per attirare l’attenzione di mamma e papà, inevitabilmente litigano e si fanno dispetti,  non sono vittime del “bullismo” e dei maltrattamenti dei fratelli maggiori, non devono lottare per conquistarsi spazi vitali e privacy… etc.  Il principale privilegio del figlio unico è, sostanzialmente, l’avere tutto, e sempre, a propria completa disposizione, mamma e papà inclusi. Questa opportunità li rende non solo più felici, più estroversi e fiduciosi nel socializzare con gli altri, ma anche più sicuri di se stessi, con conseguenti maggiori probabilità di successo nella vita. C’è, naturalmente, anche un rovescio della medaglia. I figli unici sono molto più soli, e non possono contare sul sostegno reciproco che esiste, o almeno dovrebbe esistere, tra fratelli.

Dieter Wolke, docente di psicologia dell’infanzia all’università di Warwick, sostiene che Il rapporto tra fratelli è un legame senza dubbio speciale, che può aiutare a superare dei momenti di difficoltà, quando si ha più bisogno del sostegno di una persona cara. Inoltre, dal confronto con i fratelli si impara prima a risolvere i conflitti e a capire che anche gli altri hanno un proprio spazio e che non ruota tutto intorno a se stessi. Però, continua il dottor Wolke, i lati negativi dell’avere fratelli influiscono sulle dinamiche familiari in modo più incisivo, perché lo stress che i continui litigi dei figli provocano nei genitori, che spesso sono chiamati a fare da arbitri, è deleterio per l’armonia familiare.  Al livello della dinamica di coppia, infatti, la continua tensione mette a dura prova la loro relazione. Tutto ciò, ovviamente scompare se a  doversi gestire sono solo in tre.
Il punto di vista dello psicologo.
Il contributo più forte allo studio del figlio unico proviene, comunque, dalla teoria sull’ordine di nascita di Alfred Adler. Egli ha studiato le situazioni del primogenito, del secondogenito, del terzogenito, dell’ultimo nato e del figlio unico dando notevole importanza alla costellazione familiare, cioè all’insieme delle persone che hanno convissuto con un individuo nel periodo della sua crescita, favorendo lo sviluppo di quei tratti comportamentali, dell’orientamento del pensiero, di sentimenti ed emozioni che Adler ha definito “stile di vita” . Il primogenito inizia la vita avendo per sé tutte le attenzioni dei genitori.  Infatti, per un periodo di tempo, egli è figlio unico e riceve cure speciali dai genitori. Con l’arrivo del secondogenito, egli subisce la “detronizzazione”: non è più soltanto lui il centro dell’interesse dei genitori, ma deve imparare a condividere l’interesse delle persone care con il nuovo arrivato. L’evento della “detronizzazione” può provocare nel primogenito la formazione di vissuti negativi: dal senso dell’abbandono ai tentativi di riacquistare la posizione persa. Dunque, alcuni possono diventare disobbedienti e ribelli, altri imbronciati e tendenti a distanziarsi dalla propria famiglia o, ancora, possono assumere atteggiamenti che rappresentano una richiesta di attenzione per i genitori. Saputo che esistono pro e contro nella scelta di allargare la famiglia ciò che ogni genitore deve fare riguarda il proprio personale modo di interpretare la vita, ognuno ha la possibilità di scegliere liberamente come costruire la propria famiglia e come aiutare i propri figli a costruire un sereno legame affettivo… l’economia è importante ma non è sempre il motore della crescita.

Dott.ssa Elisa Mazzola, Psicologa

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