Il discreto fascino della corruzione
Gentile Dottoressa, da qualche tempo vivo con un dilemma che non mi lascia serena e mi provoca notevoli sensi di colpa: ho raccontato una grossa bugia a mia sorella consegnandole solo in parte l’eredità di una nostra anziana zia morta di recente. Ho trattenuto una piccola cifra a titolo di risarcimento per le cure ed il tempo che le ho dedicato in questi ultimi difficili anni di continui ricoveri e visite dove le sono sempre stata accanto per accudirla. Mia sorella con la scusa di abitare distante da noi e che deve provvedere alla sua famiglia e ai suoi figli, le faceva visita solo in pochissime occasioni e se ne è completamente disinteressata tranne ricordarsene improvvisamente solo al momento di riscuoterne l’eredità. Cosa mi consiglia? Le devo confessare la verità o tenerla all’oscuro del mio atto? Giovanna M.
Non si sfugge alla corruzione. Ha attraversato le epoche e le società con il suo carico di scandali e indignazioni; i magistrati ogni giorno ne scoprono nuovi esempi; i giornalisti e l’opinione pubblica la condannano. In ogni età la corruzione ha rappresentato un elemento di dinamicità sociale e individuale, contrapposta al moralismo che spesso ha favorito la chiusura e la stagnazione. Da Richelieu a Berlusconi, molti personaggi sono stati accusati di aver barattato per denaro favori e benefici: da un punto di vista antropologico, è un’azione alla base di tutte le società umane fondate sullo scambio. La corruzione rivela il suo fascino irresistibile e le sue virtù, che i benpensanti ci hanno insegnato a ignorare. D’altronde, già nel XVIII secolo Bernard Mandeville nella sua “Favola delle api” immagina un alveare che prospera e si sviluppa grazie alla corruzione. E se avesse ragione?
Cosa succede psicologicamente ad un individuo che si lascia corrompere?
Vi sono momenti in cui ci sentiamo in debito dalla vita rispetto a ciò che sentiamo di meritarci e ciò che realmente ci viene riconosciuto. Questo provoca in noi una spiacevole dissonanza che ci porta ad accaparrarci le risorse, anche in modo poco etico, mettendo in atto prima comportamenti discutibili per poi sperimentare subito dopo un profondo senso di colpa rispetto alla nostra condotta. Quando un individuo mette in atto un comportamento incoerente con le proprie convinzioni profonde, si verrà a trovare in difficoltà discriminatoria ed elaborativa. Questa incoerenza produce una dissonanza cognitiva, che l’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre a causa del marcato disagio psicologico che essa comporta; questo può portare all’attivazione di vari processi elaborativi che permettono di compensare la dissonanza:
– Cambiamento di atteggiamenti rispetto all’azione compiuta che può essere effettuato minimizzando l’entità o gli effetti della stessa
– Cambiamento del comportamento mettendo in atto manovre di compensazione
Meglio un comportamento eticamente giusto, ma poco efficace sul piano pratico o un comportamento efficace, ma moralmente discutibile?
Un’ulteriore riflessione a riguardo concerne la necessità di distinguere tra due concetti che spesso vengono confusi: equità e giustizia. L’equità è un concetto economico che riguarda la distribuzione del reddito. Il senso di giustizia implica invece il riferimento a diritti primari dell’individuo, quali la dignità, che non possono essere violati senza che si mobiliti una reazione emozionale. Perché è importante questa distinzione? Perché l’equità è un concetto che riconosce diverse versioni alcune delle quali possono portare al paradosso per cui una distribuzione del reddito ritenuta equa è nondimeno ingiusta.