I CareGivers: ovvero i donatori di assistenza
Gentile Dr.ssa, ho da poco ricevuto la sconvolgente notizia che è stato diagnosticato un nodulo al seno a mia madre. Ancora non sappiamo la natura di questa formazione ma l’attesa ci sta creando ansia e paure riguardo al nostro futuro. Mia madre in apparenza è serena, ma io intuisco che in realtà soffre ma non vuole darlo a vedere a noi figli per non crearci ancora più dolore. E’ inevitabile per me chiedermi come potrò affrontare la situazione nel caso il nodulo non sia benigno e come posso sostenere mia madre emotivamente visto che siamo sconvolti anche noi familiari. Simona G.
Quando un famigliare si ammala tutta la famiglia a livello globale ne rimane coinvolta. I familiari si domandano come poter assistere il proprio congiunto nel migliore dei modi, sia sotto l’aspetto materiale che sotto l’aspetto psicologico. Una sfida difficile questa da sostenere, in quanto oltre al turbamento che proviamo al momento della comunicazione della diagnosi e l’inevitabile choc, dobbiamo in qualche modo sostenere il nostro familiare e aiutarlo ad affrontare le terapie e l’evoluzione del suo stato di salute. La conseguenza diretta data dall’insorgenza e dal decorso della malattia, è una situazione in cui gli equilibri personali e relazionali preesistenti sono fortemente provati e che mettono a dura prova le capacità di condivisione e coesione dell’intero sistema famiglia.
“Caregivers”: donatori di assistenza
Con questo termine inglese si sintetizza il ruolo di chi si occupa di un familiare bisognoso di cure, come ad esempio anziani, bimbi in tenera età, oppure nei casi più gravi e problematici, chi è chiamato a prestare assistenza ai familiari colpiti da malattia. In quest’ultimo caso intervengono altri fattori emotivi come la paura di perdere il proprio caro, le proprie competenze e attitudini alla cura e la sensazione di non essere in grado di affrontare un percorso totalmente sconosciuto e dove non abbiamo gli strumenti per comprendere fino in fondo ciò che si sta manifestando. La situazione poi peggiora ulteriormente se la patologia è oncologica e con prognosi nefasta. Molto spesso ad occuparsi di loro intervengono familiari quasi sempre di sesso femminile, il più delle volte figlia o coniuge del malato. Secondo l’indagine del Censis emergono alcune tipologie di caregivers. Prevalentemente a ricoprire questo ruolo sono donne al di sopra dei 60 anni di età, che assistono a tempo pieno il coniuge ormai in età avanzata. Un’altra categoria è quella delle figlie multiruolo (19,1%), impegnate su più fronti oltre che nell’assistenza al malato, con il quale in genere non convivono. Queste donne, frequentemente si sentono stanche, sovraccariche di responsabilità e il loro impegno costante ha una ricaduta negativa prevalentemente sul piano psicologico e delle relazioni sociali dalle quali tendono ad isolarsi progressivamente. Molto spesso purtroppo si diventa caregiver per necessità più che per scelta, quando non ci sono altre possibilità o condizioni economiche che permettono la possibilità di scegliere in modo più conforme alle nostre esigenze.
Emerge infatti che:
– la metà degli intervistati rivela che l’assistenza al paziente impegna l’intera giornata (24 ore) e poco più del 19% dichiara di non ricevere alcun aiuto ma in molti casi sceglie la strada del badante di supporto
– l’85% afferma che la vita gli è cambiata da quando si occupa del proprio caro. E a risentire della situazione spesso è anche lo stato di salute: il 38,5% soffre di disturbi del sonno, il 36,8% di stanchezza, il 22% di dolori muscoloscheletrici, il 6% ha alterazione della pressione. Per quanto riguarda il profilo psicologico il 57,3% dice di essere ansioso e il 40% di aver chiesto aiuto a uno psicologo. Sul fronte economico, secondo il 75% dei caregivers i costi legati all’assistenza incidono pesantemente sul bilancio familiare (la spesa per il 56,4% dei casi è sotto i 500 euro, ma il 17,5% oltre i mille).
Quali sono le funzioni del caregiver?
• Rispondere al bisogno di sicurezza del soggetto non autonomo.
• Prendersi cura della persona malata occupandosi dell’igiene, dell’ alimentazione,dei trasferimenti e della mobilizzazione.
• Occuparsi dell’ organizzazione dell’ambiente e delle risorse necessarie a garantire la migliore qualità di vita del proprio assistito.
• Consentire alla persona malata di poter vivere nel proprio ambiente familiare.
Ovviamente per poter svolgere al meglio il proprio compito il caregiver dovrebbe essere adeguatamente istruito e informato dal personale sanitario che ha in cura il paziente, in modo da poter affrontare l’assistenza quotidiana e riconoscere la comparsa di eventuali complicanze. Fondamentale infatti, risulta essere in questi casi il supporto di strutture competenti sul piano nazionale, che però a volte risultano essere gravemente carenti. Molte associazioni di volontariato, con grande merito, tentano di supplire a questa grave mancanza, assumono iniziative atte ad assicurare un minimo di appoggio ai familiari dei malati, rendendo un servizio di assistenza prezioso ed un aiuto concreto a chi si trova in difficoltà.
Come sostenere psicologicamente il caregiver.
Trovarsi a ricoprire un ruolo di caregiver significa gradatamente perdere di vista i propri bisogni in favore dell’altro “ammalato”. Questo a lungo andare crea uno stato di stress e di insofferenza che se mal affrontato può portare a patologie più serie quali depressione, attacchi di panico ecc. Chi per necessità si trova a ricoprire tale ruolo necessita di un costante monitoraggio emotivo, anche solo un gruppo di colleghi con i quali condividere l’esperienza, o i familiari stessi oppure la possibilità di poter narrare la nostra esperienza attraverso la musica, l’arte, etc. Le emozioni devono essere sviscerate ed il dialogo diventa l’elemento che contraddistingue un caregiver psicologicamente sano da un caregiver ammalato da stress. Solo cosi diminuisce in percentuale il rischio di essere incompresi e di non dare il giusto spazio, tempo, energie a noi e all’altro di cui ci stiamo occupando.