Come «guardare» gli occhi anche dei più piccoli
Il bambino non ci vede bene? Un paio di occhiali e il problema è risolto. Nella maggior parte dei casi va proprio così, ma a volte dietro ai comuni difetti visivi, come miopia, astigmatismo e ipermetropia, possono nascondersi condizioni più serie. Lo hanno ricordato gli esperti intervenuti a Bologna al XVI Congresso interdisciplinare «Le età del vedere», promosso dall’Istituto ottica e optometria Benigno Zaccagnini. «Un vizio refrattivo, soprattutto se elevato, in un bambino piccolo a volte può essere la spia di problematiche meritevoli di ulteriori accertamenti — conferma il professor Paolo Nucci, direttore della Clinica oculistica universitaria dell’Ospedale San Giuseppe di Milano e relatore al congresso —. Per esempio, un forte astigmatismo che muta col passare del tempo potrebbe essere un segnale di cheratocono, malattia della cornea che di solito colpisce entrambi gli occhi e comporta assottigliamento e incurvamento progressivo verso l’esterno della parte centrale della cornea (la superficie anteriore trasparente dell’occhio diviene sporgente). Ipermetropia o miopia importanti potrebbero, invece, essere il campanello d’allarme di forme genetiche che coinvolgono gli occhi e possono indebolire l’apparato visivo in misura importante. Si tratta di casi rari, ma è bene riconoscerli subito per poter prendere eventuali precauzioni». NUOVE TECNOLOGIE PER I BAMBINI – Non a caso oggi c’è un consenso sempre più unanime per promuovere regolari controlli della vista a partire dalla più tenera età. E i progressi nelle tecnologie e negli strumenti utilizzabili per lo screening potrebbero aiutare a rendere le cose più semplici, come fanno notare anche gli esperti dell’American Association for Pediatric Ophthalmology and Strabismus nelle nuove linee guida per lo screening automatizzato della vista in età prescolare. «Negli ultimi 10 anni – fanno notare gli oculisti americani – i metodi automatizzati sono così migliorati che è possibile identificare problemi visivi prima che il bambino sia in grado di leggere le tradizionali tavole optometriche». «Oggi c’è una grande domanda e una piccola offerta per lo screening della vista nei bambini, ma gran parte dei problemi potrebbe essere risolta proponendo controlli negli asili e nelle scuole e le moderne tecnologie, in mano a tecnici competenti, come per esempio gli ortottisti, potrebbero essere di grande aiuto» suggerisce Nucci. LO SCREENING – Per lo screening, secondo le nuove linee guida americane, è utile usare criteri diversi per i bambini tra i 12 e i 36 mesi e quelli tra i 3 e i 5 anni, come precisa lo stesso professor Nucci: «Un buon sistema di screening nei bambini più piccoli (sotto i 36 mesi) è il cosiddetto fotoscreening. Il test si basa sul fenomeno della riflessione della luce da parte della retina, da cui derivano gli “occhi rossi” che compaiono nelle fotografie scattate con il flash. Da un’immagine scattata con un’apparecchiatura non invasiva e senza la collaborazione del paziente, un tecnico può verificare se il riflesso rosso è simmetrico, e quindi la vista è presumibilmente buona, oppure asimmetrico o con macchie, cioè se ci sono eventuali patologie. Questo strumento non è infallibile, dà misurazioni grossolane e ha un margine di errore, nel senso che può dare falsi positivi, ma molto di rado può fare il contrario, ovvero dire che è perfetto un occhio che non lo è (falsi negativi). Questo esame può aiutare a cogliere indizi di cataratta congenita, retinoblastoma, glaucoma infantile o altri problemi meritevoli di accertamenti. Alla soglia dei 3 anni, i bambini diventano più collaborativi e si possono iniziare a usare le tavole ottotipiche, anche abbinate all’autorefrattometro, macchina che permette di misurare il potere refrattivo del l’occhio». Le alterazioni del sistema visivo in età pediatrica riguardano dal 4 al 6% dei bambini e i controlli giusti nei tempi giusti possono fare la differenza, aiutando a ripristinare la funzione visiva e a curare patologie che possono mettere a rischio non solo la visione, ma addirittura la vita.
Fonte: corrieredellaserasalute