Prima scoppio e poi scappo: quando lo stress lavorativo supera la soglia
Sono una maestra della scuola primaria in una scuola di Parma. Insegno da quasi vent’anni e normalmente il mio lavoro mi piaceva e lo svolgevo con impegno amando tantissimo i bambini e credendo nell’importanza della formazione scolastica. Quest’anno però ho avuto notevoli difficoltà a terminare l’anno scolastico e sinceramente sono preoccupata per il prossimo perché sento di avere esaurito le energie e di non avere più la pazienza di un tempo né con i bimbi né con i genitori.
Spero sia solo stanchezza la mia che passerà con l’estate però temo che questa mio vago senso di malessere possa peggiorare.
Giovanna V.
Quello che inizialmente per noi era un lavoro importante e significativo, diventa gradualmente sgradevole viene a mancare l’energia necessaria per affrontare la realtà quotidiana e si insinua la sensazione di aver fallito professionalmente. Si inizia a limitare il coinvolgimento nella propria attività per arrivare a prendere in considerazione seriamente l’ipotesi di lasciare il lavoro. Qual è la causa interveniente che scatena questo processo? L’esposizione prolungata nel tempo allo stress associata a sovraccarico di lavoro, mancanza di controllo, gratificazione insufficiente, mancanza di tempo e scarso supporto sociale possono essere precursori di una sindrome specifica lavoro correlata indicata con il termine Job Burnout:
“Sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti i quali, per professione, si occupano della gente” (Maslach, 1992)
Burnout significa letteralmente “bruciato, fuso”. E’ uno stato di esaurimento percepito dal lavoratore che fa sentire la persona come se avesse bruciato tutte le risorse, come un atleta che non è più in grado di ottenere certi livelli, è caratterizzata da affaticamento, esaurimento, nervosismo, stati di ansia cronici, disturbi del sonno, depressione e decremento dell’ autostima. Si sperimenta un crescente distacco emotivo, cinismo e freddezza nei confronti della propria attività e delle relazioni personali nell’ambito professionale. Questa sindrome è stata riscontrata principalmente nelle cosiddette “Helping Profession”, facendo riferimento alle professioni che implicano uno stretto contatto tra operatore e utente e che presuppongono un coinvolgimento affettivo ed emotivo forte e discrepanza tra ciò che si deve mostrare e ciò che si è realmente.
Categorie professionali come medici, infermieri ed insegnanti sono indubbiamente le tipologie di lavoratori più a rischio burnout in quanto assoggettate a costanti richieste di impegno associate a pretesi risultati positivi tangibili.
Chi sceglie una professione d’aiuto perché poi va incontro alla delusione?
Il D.Lgs. 81/08 prefigura lo svolgimento di due processi di valutazione.
1. Il primo processo di valutazione riguarda i rischi emergenti dalla interazione delle persone con aspetti del mondo fisico, chimico e biologico dotati della caratteristica del pericolo.
2. Il secondo processo di valutazione riguarda il rischio di stress lavoro correlato e, dunque, richiede di considerare anche aspetti organizzativi, psicologici e sociali della domanda lavorativa, ai quali, come si vedrà, non è possibile attribuire la caratteristica intrinseca del pericolo.
“Indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati” (circolare ministeriale 20 del 18/11/2010).
Tale valutazione “è parte integrante della valutazione dei rischi e viene effettuata dal datore di lavoro avvalendosi del RSPP con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del RLS.”